Una classificazione in cinque parti
Due tabelle riassuntive
La tabella della pagina precedente contiene una sintesi della classificazione dei testi adottata nel corpus linguistico scripta, il quale accoglie in varia misura il contenuto delle classificazioni proposte da Egon Werlich e da Francesco Sabatini.
Qui di seguito espongo in maniera dettagliata il contenuto della prima tabella riassuntiva, cercando di giustificare sul piano teorico le ragioni delle mie scelte; nella pagina successiva, invece, si può trovare una seconda tabella riassuntiva prelevata direttamente da scripta ‒ e quindi in continuo aggiornamento ‒ che contiene la lista completa dei generi letterari associati alla classificazione dei testi discussa in queste pagine. Essa risponde operativamente alle difficoltà tassonomiche messe in rilievo all'inizio di questa discussione.
Testo espressivo
I testi espressivi costituiscono quella classe di composizioni verbali in cui il vincolo che l'autore impone al lettore è il più debole possibile; in condizioni estreme si può ammettere che tale vincolo sia addirittura assente. Fermo restando, infatti, come già accennato, che qualsiasi testo è anzitutto la conseguenza di una intenzione comunicativa dell'autore, va riconosciuto d'altro canto che, in certe circostanze, l'autore è più intensamente concentrato sul proprio desiderio di esprimere un sentimento, piuttosto che sulla necessità di mostrarsi perspicuo e convincente. Di fronte a questa disposizione dell'autore, chi legge può accettare entusiasticamente o rifiutare con disprezzo il testo in questione, ma in entrambi i casi, e anche in tutti quelli intermedi, lo farà sempre per una libera scelta personale e mai per una necessità connessa al contenuto del testo.
Gli esempi più calzanti e più numerosi di questo tipo di testo si trovano evidentemente nelle composizioni liriche, sia quelle più gravi sia quelle più giocose, ma se ne possono trovare anche altrove, purché sia fatta salva l'intenzione espressiva dell'autore, a scapito della sua considerazione, e perfino del rispetto, nei confronti del lettore. I testi futuristici, a questo proposito, possono essere considerati esemplari. Ma anche una semplice scritta sul muro, come "scemo chi legge", mi sembra un esempio insuperabile di breve composizione espressiva verbale, scritta, intenzionale e conclusa.
Testo riferitivo
Confesso di aver scelto questo aggettivo di basso uso, come lo etichetta Tullio De Mauro, dopo averne scartati altri, che ho giudicato troppo generici o troppo restrittivi. Sarebbe stato più semplice, per un certo verso, impiegare l'attributo narrativo, ma i testi narrativi hanno caratteristiche troppo specifiche per riuscire a comprendere tutti i vari tipi di testo che, secondo la mia opinione, possono essere abbracciati da questa seconda cospicua classe. "Che istituisce relazioni o rapporti" recita sempre il De Mauro, e in effetti un testo riferitivo adempie proprio a una funzione di collegamento fra alcuni eventi accaduti e l'idea che se ne fa, grazie alla mediazione dell'autore, chi li ignorava prima della lettura. Il modello dominante di testo riferitivo ‒ ma non l'unico ‒ è il racconto, ovvero una composizione che narra, in qualsivoglia modo, di fatti accaduti, e della quale l'epica rappresenta naturalmente il primo esempio storico.
Un testo riferitivo esercita sul lettore un debole vincolo, poiché egli non è tenuto a credere a quanto narrato dall'autore, ma una volta che accetta liberamente di sottoporsi alla lettura, non può più sottrarvisi senza denunciare una palese violazione di credibilità di quanto narrato dall'autore. Ciò mette in rilievo il carattere interdipendente del rapporto lettore-autore: se da un lato, infatti, chi legge è progressivamente vincolato al contenuto del testo, dall'altro lato chi scrive non può evitare di sottomettersi a un dovere di crescente coerenza che legittimi il vincolo sempre più stringente imposto a chi legge. Per essere più esplicito, dico che il poeta può condurre a compimento la propria composizione espressiva con folle incoerenza, e il lettore può accoglierla o rifiutarla, in entrambi i casi, con la più grande convinzione, senza per questo sentirsi obbligato a spiegare la ragione di una scelta che dipende solo dalla propria disposizione verso ciò che legge, mentre anche il racconto più fantastico andrà sottoposto a un vaglio, per quanto minimo, di coerenza da parte dell'autore, prima che egli possa sottoporlo al lettore e pretendere poi che non se ne allontani senza averne palesato l'incoerenza.
Quest'ultima considerazione permette di introdurre una dicotomia significativa nei testi riferitivi, come è mostrato nella prima tabella riassuntiva. Questo tipo di testo, infatti, può essere associato, o meno, a un patto finzionale, un concetto che si deve a Umberto Eco (Sei passeggiate nei boschi narrativi, Bompiani, 1994) e che esplicita il sottinteso contratto che si instaura fa autore e lettore quando il secondo accetta di sottoporsi alla narrazione di una storia di cui conosce la falsità ma della quale vuole apprezzare la verosimiglianza o quanto meno la coerenza, per tacere del suo valore esemplare ed estetico.
In breve, il patto finzionale abbraccia tutta la produzione narrativa, da Omero in avanti. Tuttavia, essa costituisce solo una parte dei testi che possono rientrare nell'ambito riferitivo. Una gran parte di essi, infatti, narra altre storie, che sono soggette a un vincolo più forte di quello esercitato dal patto finzionale. Si tratta di tutta la produzione cronachistica, giornalistica e, crescendo in intensità vincolare, di quella storiografica che impone un obbligo di verità e di coerenza del testo che poi si riflette sul diritto che il lettore conserva di accettarlo o di ricusarlo.
C'è una narrativa di confine, per concludere, che può essere considerata lo snodo della dicotomia introdotta nei testi riferitivi, i quali possono ricorrere, come detto, o non ricorrere alla finzione: si tratta di quelle storie assolutamente vere che vengono tuttavia raccontate in modo, per così dire, finzionale, delle quali l'iniziativa I documenti raccontano costituisce un esempio che ritengo significativo. In esse non si narrano privati eventi fittizi ben inquadrati tuttavia nel tempo e con un forte scrupolo realistico, cosa che rappresenta l'essenza del romanzo storico, che rimane comunque un testo riferitivo con patto finzionale; in esse, viceversa, il racconto di piccoli eventi rigorosamente documentati viene condotto con uno stile più sciolto di quanto imporrebbe la loro assoluta veridicità, e con l'aggiunta corroborativa, ma tale da non offendere neanche un poco quanto realmente accaduto, di numerosi dettagli di finzione al contorno.
Il mio racconto Una selvaggia normalità è una esempio di questo modo di raccontare storie che, secondo la mia opinione, merita il titolo di genere letterario.
Testo dichiarativo
Quando un testo può essere collocato in una condizione di equilibrio fra il diritto del lettore di sottrarsi a un vincolo relativamente modesto impostogli dall'autore e il dovere di accettare tale vincolo, perché così stringente che la sua rottura andrebbe tutta a scapito del lettore, si può parlare di testo dichiarativo. Qualsiasi dichiarazione, dunque, di carattere privato, anche resa nell'ambito di una professione che intrattiene rapporti con l'autorità pubblica (perizia, autopsia, ecc.) può essere considerato un testo di tale natura.
Di fronte a una dichiarazione, infatti, c'è semplicemente da prendere atto che essa è avvenuta, perché è stata messa per iscritto in maniera intenzionale e conclusa, senza che sia necessario, e direi anche utile, per il discorso che qui interessa, domandarsi se la si debba considerare vera o falsa. Da questo punto di vista, infatti, un menzognero verbale di interrogatorio raccolto dall'autorità giudiziaria e una sincera dichiarazione d'amore consegnata per iscritto a una persona amata sono da porre assolutamente sullo stesso piano; la loro stessa natura di composizioni intenzionali e concluse che affermano qualcosa, e non semplicemente la esprimono in maniera obliqua, o la riferiscono omettendo comunque dettagli che almeno qualche lettore vorrebbe trovare nel testo e a cui si potrebbe appigliare per ritenersi sciolto dal vincolo autoriale, li rendono più vincolanti dei testi espressivi e di quelli riferitivi, benché talvolta possano risultare disapprovabili, per la loro indiscutibile natura fattuale.
Testo argomentativo
Se i testi espressivi e quelli riferitivi non sono sottoposti ad alcun principio di autorità, e difatti sono classificati come testi poco vincolanti nei confronti del lettore, mentre i testi dichiarativi sono soggetti a un principio di autorità intrinseco, che si richiama alla ovvia fattualità di una dichiarazione, i testi argomentativi, e i successivi testi normativi, sono soggetti invece a un principio di autorità per così dire esterno, e dunque più consistente, ed occupano pertanto una posizione più elevata nella scala di una classificazione che basa il criterio di ordinamento sull'intensità del vincolo per il lettore. Il principio della consistenza logica e deduttiva informa la natura di questo tipo di testi, e in questo caso, perciò, va accolta pienamente la definizione proposta dal De Mauro la quale, secondo il mio parere, si presenta riduttiva, ma comunque accettabile.
Anche in questo caso, però, si può introdurre una dicotomia, sempre come è mostrato nella prima tabella riassuntiva, distinguendo fra testi argomentativi deboli e forti, sottolineando il quasi evidente fatto che i secondi sono più vincolanti dei primi. Il criterio di discriminazione passa per la distinzione fra testi la cui cogenza poggia su argomenti di natura ideologica o retorica (encicliche, arringhe, ecc.) e testi che sono sostenuti invece da un impianto razionale o sperimentale (articoli scientifici, trattati, ecc.).
Testo normativo
Se al principio di autorità basato sulla consistenza logica e deduttiva si sostituisce quello basato sul valore universale della norma scritta si giunge infine al quinto e ultimo tipo di testo, ovvero quello normativo. In questo caso, infatti, il vincolo che il testo esercita sul lettore è massimo, perché la norma va considerata indiscutibile, naturalmente tenuto conto del contesto in cui avviene la lettura, la quale, una volta che è avvenuta, imprigiona il lettore in un vincolo indissolubile.
Si può discutere del fatto che i due principi di autorità presi in considerazione potrebbero essere ritenuti equivalenti, perché relativi ad ambiti diversi, e quindi si potrebbe giudicare difficile considerarli ordinabili in funzione di un vincolo crescente. In realtà, però, io ritengo che non sia affatto così: per quanto apparentemente necessaria, la conclusione razionale è pur sempre soggetta al lavorio scientifico che può mutarla, come spesso ha fatto nel corso della storia, mentre una norma giuridica, o di altra natura simile, è soggetta unicamente al contesto storico in cui vige, e all'interno di questo contesto è del tutto apodittica e dunque più vincolante di qualsiasi altra cosa scritta.
Nondimeno, facendo sempre riferimento alla prima tabella riassuntiva della pagina precedente, anche nel caso dei testi normativi, è possibile distinguere fra testi normativi condizionati e testi normativi non condizionati. La distinzione dovrebbe essere chiara, benché abbastanza sottile: al dettato dei primi ci si può sottrarre patendo un danno privato, vale a dire autoinflitto, mentre a quello dei secondi non ci si può sottrarre senza patire un pena inflitta da un agente esterno, tipicamente l'autorità giudiziaria. In parole povere: posso infischiarmi di ciò che proibisce il libretto di istruzioni della mia automobile, e mandare allegramente fuori giri il motore danneggiandolo, ma se lo faccio davanti a una pattuglia della polizia stradale subirò anche la pena di una multa per eccesso di velocità, i cui dettagli operativi sono stati scritti nel codice della strada.