Lettere come note
Un esempio musicale
Penso che in ambito verbale il pangramma possa rappresentare, entro gli opportuni limiti, il corrispettivo della serie nella musica dodecafonica. Ecco, per cominciare con un esempio musicale, la serie di una celebre composizione di Schönberg:
Si tratta della successione arbitraria delle dodici note della scala musicale cromatica che alimenta il Quintetto per fiati op. 26, composto fra il 1923 e il 1924. Si può notare essa contiene tutti i gradi della scala cromatica i quali, come prescritto, non possono essere ripetuti prima che l’esposizione dell’intera serie sia stata condotta a termine.
In effetti, il breve stralcio che segue, ricavato dall’inizio del terzo movimento dell’opera, mostra con estrema chiarezza l'applicazione di questo principio:
Tutte le note della serie sono esposte nell'ordine precostituito, benché si sparpaglino sui due pentagrammi, e abbiano anche la possibilità, che qui è presente però solo nella combinazione delle due voci, di agglomerarsi in accordi volutamente del tutto avulsi da ogni vincolo tonale, perché soggetti solo alla varietà distributiva della serie.
Un esempio verbale
Ecco ora un pangramma, invece, ovvero una sequenza arbitraria ma non ripetitiva di lettere che contiene l'intero alfabeto della lingua italiana, proprio come la serie dodecafonica contiene tutti i dodici gradi della scala temperata.
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Purtroppo le lettere non hanno la stessa libertà espressiva dei suoni, dal momento che la loro presenza e il loro ordine è subordinato al senso delle parole che formano, sicché questo sequenza di lettere è priva di significato, oltre che assolutamente impronunciabile. Eccone allora un'altra:
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Non sembra migliore della precedente, se si esclude qualche accenno di senso. Però, aggiungendo degli spazi e quattordici lettere ripetute (di cui solo quattro consonanti), si ottiene:
AL TEMPORALE DEVI I FUNGHI SBRONZI D’ACQUA
che è una frase di senso compiuto, dotata anche di un certo colorito poetico, tanto che l’ho ripresa nel titolo del mio romanzo Come i funghi sbronzi d’acqua.
L'impossibile esistenza del pangramma perfetto
È evidente che non può esistere, almeno nella lingua italiana, il pangramma perfetto, ovvero un pangramma di sole ventuno lettere che sia pronunciabile e sensato. Però ci si può scervellare per concepire pangrammi di lunghezza minima, quantunque mai esatta, per un piacere enigmistico, oppure con qualche scopo meno ludico.
Una volta si usava digitare un pangramma sulle macchine per scrivere allo scopo di collaudarne la meccanica, sollecitando l’intera batteria dei suoi cinematismi. Oggi si radunano in brevi frasi compiute tutti i caratteri di una fonte tipografica per offrire un’idea completa del suo aspetto, senza ricorrere all’asettica sequenza dell’alfabeto.
Oggi le macchine per scrivere non si usano più, ma per valutare l'aspetto di una fonte tipografica resta utile ricorrere ai pangrammi. Eccome uno fra i più concisi che io conosca (solo 26 lettere), scritto per di più in corsivo, che è lo stile più compatto in qualsiasi fonte:
Quel fez sghembo copre davanti
La ragionevole ricerca della prosa pangrammatica
Io mi sono persuaso che sia stata proprio questa manifestazione di ricchezza distribuita con scrupolosa equità che ha attirato l’attenzione di Schönberg per poi convincerlo ad impiegare in modo sistematico la serie nelle proprie composizioni, dopo le prime esperienze atonali in cui questa idea aveva già trovato luogo, sebbene in maniera non metodica.
C’è un’aura di solenne distacco dal particolare, di superiore indifferenza verso il facile richiamo locale e soprattutto di attenzione meticolosa nei confronti dell’effetto d’insieme in questa idea che rende difficile restarvi insensibili, per quanto poi l’ascolto della composizione musicale possa risultare gravoso e addirittura ostico.
Questa medesima ricchezza distribuita, secondo me, dovrebbe costituire il primo presupposto anche per una prosa di qualità ‒ ma forse sarebbe meglio dire per la qualità della prosa ‒ sebbene la grande distanza espressiva che separa la musica dalla scrittura obblighi a considerare questo intento generale in maniere assai diverse.
Nella musica, ma del resto anche nelle arti visive, lo scarto tra la forma e il contenuto risulta minimo, perché ciò che viene materialmente prodotto è profondamente innervato nell’intenzione espressiva, mentre nella scrittura verbale il legame fra segno scritto e contenuto espresso può essere anche molto lasco. Si tratta di una questione di straordinario interesse che distoglie però dall’argomento di queste pagine, mentre la vera domanda è: che cosa c’entra scripta con tutto ciò?
La risposta è che scripta si presta ad eseguire esperimenti e controlli sugli aspetti pangrammatici del testo verbale.