Storia universale dell'umanità in mille parole
Una scommessa
Un po' per giocare con le parole, un po' per misurarmi con un compito a dir poco spaventosamente ambizioso, e dunque irrealizzabile quasi per principio, ho provato a scrivere una Storia universale dell'umanità nei limiti imposti dal titolo.
In realtà l'ambizione c'entra poco, perché col passare degli anni cresce il desiderio e addirittura il bisogno di interrogarsi spassionatamente su ciò che si è compreso della realtà, al netto ‒ per così dire ‒ di tutti gli ammorbidenti distinguo che rendono sagge le persone ma anche piuttosto noiose. Ho accettato dunque la spericolata ma umilissima scommessa con me stesso di mettere in gioco la mia personale cognizione del mondo.
La domanda brutale potrebbe essere questa: «Hai sette minuti (tanti ce ne vogliono per pronunciare mille parole, senza correre): dimmi che cosa hai capito di tutta la storia dell'umanità».
Ecco la mia risposta.
In verità nella storia politico-sociale dell'uomo non è successo granché fino al xvii secolo. Fino ad allora, infatti, le cose sono sempre andate pressappoco in questo modo: c'era uno che comandava e tutti gli altri obbedivano senza fare troppe domande. E se qualcuno si interrogava sull'argomento, era per escogitare un modo per prendere il posto del comandante. Tutto qui.
Volendo, si potrebbero ricordare le democrazie dell'antichità ‒ la polis greca, la respublica romana ‒ ma io non credo che quella democrazia museale conti parecchio nella storia dell'umanità: il modello dominante è sempre stato quello faraonico: di qua il capo, a fare il bello e il cattivo tempo, di là tutti gli altri, a ringraziare il cielo quando potevano permettersi un ombrello; tutt'al più, nel mezzo, ammettiamo una corte di mezzani pronti togliere le castagne dal fuoco al capo.
Il modello funzionava. Ha funzionato a cominciare dall'alba dell'umanità (quarantamila anni fa: uno più, uno meno...); se non avesse funzionato oggi non saremmo qui a parlarne. Ci saremmo scannati fino all'estinzione nel nome di una democrazia cruenta basata sul ragionevole interrogativo: "Chi sei tu per camminarmi sulla testa?". Una superlativa tracotanza, invece, di solito trasformata in virtù divina, ha sempre permesso a qualcuno di esercitare l'opinabile diritto di camminare sulle teste altrui le quali, sebbene con un certo rammarico, alla fine abbozzavano. Diciamo pure che spesso la divinità è stata un po' oscura o volubile, e questo ha portato a varie incertezze riguardo al camminatore prescelto, dando luogo a conseguenti guerre e carneficine, ma questi sono dettagli.
Neanche nella storia della tecnologia è successo granché fino al xix secolo. Si arava, si tesseva e si viaggiava più o meno come si arava, si tesseva e si viaggiava al tempo degli Egizi. Fino all'arrivo delle macchine c'è ben poco da dire, e per piacere lasciamo stare Archimede o Leonardo con i loro gingilli preziosi perché sono state delle meraviglie molto marginali. Con la storia della cultura va un po' meglio: nel xv secolo l'invenzione della stampa trasformava radicalmente il modo di distribuire il sapere giacché prima, quantunque mutasse il supporto, il sistema restava il medesimo: penna e calamaio (scalpello e martello, inizialmente). Anche la storia della scienza è stata una bella noia fino al xvii secolo: "Aristotele ha detto così, Aristotele ha detto cosà"; mai nessuno a domandarsi: ma sarà vero? Lui era certamente bravo, ma ne ha prese mica male di cantonate, da scriverci un libro, e poi addirittura un'Enciclopedia. E infatti, è andata proprio così, ma solo trecento anni fa. Poca cosa, a conti fatti.
Quindi non c'è da stupirsi del fatto che fino al xvii secolo non è successo granché neppure in campo politico-sociale. Poi, finalmente, in Inghilterra un parlamento si oppone a un re e la democrazia entra irreversibilmente nel mondo: una creaturina gracile, preceduta da innumerevoli aborti, ma destinata a resistere, facendo strillare a tutti: "Chi sei tu per camminarmi sulla testa?". Una domanda non nuova, come si ricorderà, solo che la questione fortunatamente non era più da regolare a mazzate, almeno in teoria, bensì a parole, possibilmente scritte. Un bel passo avanti.
Nel xviii secolo l'idea venne perfezionata in Francia con l'invenzione della democrazia politica, seguita dalla democrazia sociale. La prima stabiliva che tutti potevano rivolgere a chiunque la ben nota domanda: "Chi sei tu per camminarmi sulla testa?"; la seconda proclamava invece che coloro ai quali era rivolta la domanda avevano anche l'obbligo di rispondere.
Il xix secolo, infatti, trascorse in gran parte dibattendo questa grave controversia: la gente doveva accontentarsi di fare la domanda, oppure poteva anche pretendere di ricevere una risposta? La questione non era di poco conto, anche perché nel frattempo la tecnologia si era messa in moto, e aveva creato una cornucopia di meraviglie che incrementavano terribilmente la quantità di cose che potevano essere prodotte e consumate. Leggermente ritoccato, quindi, il democratico quesito suonava così: "Chi sei tu per mangiarmi sulla testa?". Era vero, infatti, che c'era molto più da mangiare che in passato, ma non era altrettanto vero che tutti avessero lo stesso posto a tavola, una cosa piuttosto spiacevole.
Il xx secolo è stato una specie di laboratorio dove collaudare le idee democratiche dei secoli precedenti. La democrazia politica del liberalismo britannico è emigrata in America mentre quella sociale, ovvero il giacobinismo francese, si è cimentata in Russia e in Cina. L'Europa, invece, si è attardata in una patetica e funerea riedizione del modello faraonico chiamata democrazia populista, la quale consente al capo di camminare sulla testa dei sottoposti, i quali si persuadono, tuttavia, che la cosa sia sopportabile e addirittura gradevole.
Sebbene il modello liberale americano abbia mostrato gravi insufficienze nel corso del secolo bisogna ammettere che esso si è dimostrato superiore ai comunismi sovietico e cinese, per non parlare dei fascismi europei che hanno seminato solo distruzione e morte. Questo però non ha impedito la definitiva acquisizione della democrazia al patrimonio dell'umanità. Bisogna intendersi: non tutti pensano proprio alla stessa cosa quando invocano la democrazia, però la invocano tutti, e questo è già molto.
Ma a questo punto, la sorpresa: con l'avvento della televisione e dell'internet si scopre che la democrazia di per sé è poca cosa. Un popolo, infatti, abbandonato alla propria democrazia tende ad adagiarvisi in una condizione di ebetudine conformista, una democrazia telematica, che fa quasi rimpiangere le epoche del modello faraonico, quando alle volte spuntava un capo illuminato che faceva cose buone senza chiedere il permesso a nessuno. All'inizio del xxi secolo sono in tanti a pensare democraticamente che la maggioranza abbia ragione perché è la maggioranza. Demenziale, a dir poco.
Quale conclusione si deve trarre, allora? Bisogna puntare tutto sull'istruzione, poiché solo il sapere aristocratico può compensare le carenze dell'egualitarismo: la ragione non appartiene al gregge più numeroso, bensì a chi vede più lontano degli altri, solo che per guardare oltre è necessario studiare senza risparmio.
Una giunta finale
Credo di aver scritto questa Storia poco dopo il 2000. Nonostante il suo carattere volutamente schematico e per tanti aspetti apodittico (penso al modo liquidatorio con cui si parla della polis, della respublica, di Aristotele, di Archimede e di Leonardo) ci sono molto affezionato e oso perfino pensare che non sia neanche troppo male. Ciò nondimeno l'ho riscritta completamente nel dicembre del 2012 per pubblicarla sul sito. Si è trattato di una duplice fatica: in primo luogo per cercare essere ancora più perentorio ma ancora meno banale, in secondo luogo per rimanere nei limiti imposti, cosa assai difficile, visto che non appena cambiavo un dettaglio le parole diventavano troppe o restavano troppo poche. Ma sono proprio mille. Chi vuole, conti.