parolescritte
interroga:  scripta  ·  bsu  ·  civita

tecnologie verbifere


Tipografia e musica

Tema con variazioni

Sfogliare un catalogo di fonti di caratteri è un po' come ascoltare quel genere di composizione musicale che prende il nome di tema con variazioni: un'idea musicale – scelta di norma per la sua semplicità – viene presentata ripetutamente, ogni volta con ingegnose modifiche che la rendono ora più ricca, ora più brillante, ora più sentimentale, ma pur sempre riconducibile all'invenzione primitiva.

Con i caratteri tipografici succede qualcosa di simile: ogni glifo, che è una particolare rappresentazione grafica di un carattere, e che appartiene a una determinata fonte, possiede tratti, più o meno vistosi, che lo distinguono da quelli dei corrispondenti caratteri di tutte le altre fonti.

L'aspetto del carattere a, tipico della fonte Garamond (prima riga), è diverso da quello che lo stesso carattere presenta in Stencil (seconda riga), in Arial (terza riga), in Lucida Calligraphy (quarta riga), in Rockwell (quinta riga), tuttavia nessuno dubita del fatto che si tratti pur sempre del carattere a.

L'intero patrimonio dei caratteri tipografici, intesi come i corrispondenti glifi, prodotti a partire dall'invenzione della stampa, alla metà del xv secolo, può essere quindi immaginato come un unico, lunghissimo e tutt'altro che concluso tema con variazioni, naturalmente di natura grafica, e non musicale.

C'è però una differenza sostanziale.

Variazioni senza tema

In ambito musicale non si dà alcuna variazione senza presentare prima il tema da cui essa deriva. In ambito tipografico, invece, questa libertà è consentita, perché il tema è sottinteso, dato che fa parte di un patrimonio comune di conoscenze.

Tutti sanno infatti che i cinque glifi della figura precedente rappresentano il carattere a, perché tutti hanno in mente l'idea di quel carattere, che può essere così definita:

Due segmenti obliqui aventi l'estremo superiore in comune, congiunti da un terzo segmento orizzontale.

Però nessuno è in grado di dire quale sia una rappresentazione grafica di quell'idea condivisa che possa ragionevolmente imporsi su tutte le altre.

Ognuna di queste rappresentazioni rispetta la definizione data, ma sono evidenti le differenze fra di esse. Eppure la definizione è la stessa, e quel che più importa è che non può essere messa in discussione da nessuno, perché nell'immaginario collettivo il carattere a deve essere rappresentata da due segmenti obliqui con l'estremo superiore in comune, congiunti da un tratto orizzontale.

Aggiungo che ho disegnato linee sottili per sottolineare che sto parlando ancora di segmenti astratti: lo spessore di questi segmenti (se mi si concede l'ossimoro) è materia di ulteriore diversificazione, di cui dovrò parlare più avanti.

Si dirà: la seconda rappresentazione è quella che si avvicina di più all'idea di a che tutti noi abbiamo in testa. Sarebbe possibile quindi elaborare una definizione del carattere più precisa, che escluda tutte quelle lontane dall'idea meglio condivisa. Ma se questa definizione fosse troppo precisa qualcuno potrebbe legittimamente trovarla inaccettabile.

Quale di queste rappresentazioni – volutamente molto simili – va considerata come l'idea primitiva e condivisa del carattere a?

Sembra proprio che ci troviamo di fronte a un paradosso: abbiamo innumerevoli variazioni grafiche di cui pensiamo di conoscere perfettamente il tema originale, ma non siamo in grado di rappresentarlo in maniera inoppugnabile.